Con Silvia Redigolo abbiamo parlato di violenza sulle donne e del digitale come risorsa utile per la prevenzione e la denuncia. Uno strumento che ha anche lati oscuri e può diventare fonte di controllo da parte di partner violenti.
Ogni giorno lavorate per prevenire e contrastare la violenza sulle donne. Nel perseguire questo obiettivo quanto è importante il digitale?
Il digitale è uno strumento importantissimo perché consente alle persone di connettersi e permette a noi di entrare rapidamente in contatto, sia con le donne che vivono situazioni di violenza, sia con le persone che sono accanto a loro. Ovviamente è importante anche perché in molti casi le donne non hanno la possibilità di telefonare, di inviare messaggi o di interagire con altri numeri, a causa di partner violenti che monitorano i loro telefoni. Il digitale, dunque, offre alle donne la possibilità di inviare una email allo sportello antiviolenza online di Pangea, attraverso una casella di posta dedicata che successivamente può essere cancellata dalla cronologia del computer. Molto spesso, inoltre, per una donna è “più facile” chiedere aiuto tramite il web per la prima volta a Pangea essendo protetta da uno schermo. Raccontare la propria storia di violenza e dolore è un processo molto complesso e proprio per questo motivo le operatrici cercano di instaurare un rapporto di fiducia senza giudicare la donna. L’email, infatti, rimane il metodo più rispettoso dei tempi e delle emozioni della donna. Il digitale spesso, viene inteso come qualcosa di astratto, ma in questo caso non penalizza il lavoro delle operatrici di Pangea che, attraverso questo strumento, riescono a operare e concretizzare il lavoro che fanno quotidianamente per salvare le donne.
Come il digitale al contrario può essere complice negli episodi di violenza nei confronti delle donne?
Tutte le forme di violenza e di controllo si realizzano anche attraverso i mezzi digitali, come i social media e le mail. È proprio quello che ci raccontano le scuole e le aziende durante gli incontri di sensibilizzazione e prevenzione. Per questo occorre sempre sottolineare che un uomo che controlla le chat, il telefono, i social di una donna, è comunque un uomo che sta facendo violenza. Il telefono, infatti, non è più solo uno strumento con cui telefoniamo, ma all’interno dei nostri telefoni c’è la nostra vita, i nostri pensieri e le nostre relazioni. Questo occorre sempre ribadirlo perché il digitale permette di facilitare il contatto con noi, ma è anche vero che bisogna fare attenzione e difendere la propria privacy.
Spesso le donne vengono anche controllate attraverso il telefono: ricevono mille chiamate, vengono localizzate attraverso alcune app, oppure gli uomini chiedono di poter controllare dove sono, come sono vestite, con chi sono, attraverso la pretesa dell’invio di un selfie.
Il progetto REAMA è un esempio concreto di come il digitale può essere di grande aiuto per le donne in difficoltà. Ci racconti com'è nato il progetto e come si sviluppa concretamente?
Il progetto REAMA è nato 7 anni fa come una rete di centri antiviolenza, case rifugio e un gruppo di operatrici che lavorano quotidianamente nei centri antiviolenza. Questo progetto è stato sviluppato su tutto il territorio nazionale ed è stato istituito uno sportello, ovvero il cuore di questo progetto, caratterizzato da una email e da un numero di telefono attraverso i quali le donne, o le persone che si trovano vicino a donne che vivono una condizione di violenza, possono rivolgersi. Quando una donna poi decide di contattare Pangea e chiedere aiuto, l’operatrice fa una valutazione del rischio e, a seconda della sua situazione, può proporre l’entrata in una casa d’emergenza, una struttura in cui le donne possono trovare accoglienza e possono prendere le prime decisioni rispetto alle azioni da compiere e al percorso che vogliono intraprendere. Dopo di che, c’è il passaggio nelle case rifugio e da lì si comincia a lavorare per accompagnare le donne e i suoi eventuali figli/fliglie, fuori dalla spirale di violenza. Questo è un percorso molto lungo che avvolge la donna a 360 gradi per poi arrivare al suo inserimento lavorativo perchè l’obiettivo è renderla economicamente indipendente, in modo che possa essere lei la protagonista della propria vita e della propria rinascita.
Vi è mai capitato un caso di donna che si è rivolta a voi “solo” perché aveva subito una violenza digitale, come ad esempio un’offesa attraverso messaggi, minacce o altro?
Pangea lavora su tutte le forme di violenza contro le donne e purtroppo l’errore si trova proprio nelle tue parole che sono ricorrenti in tutte le donne che ci contattano. Il “solo” viene spesso usato da tutti perché, spesso, non ci si rende conto che ogni tipo di violenza è posizionata allo stesso livello.
Tutte le donne possono chiederci aiuto, anche se non sono state abusate fisicamente, perché ogni singola violenza è uguale e non può essere accettata.
Fondazione Pangea ETS e i social media. Quanto sono importanti per voi i social media in relazione alla vostra mission, ai progetti che portate avanti e alla diffusione di una cultura preventiva di contrasto alla violenza?
I social media sono uno strumento molto utile per Pangea. In più occupandomi in prima persona dei social ho notato come essi ci permettono di avere un rapporto diretto con la nostra community e ci consentono di far conoscere il lavoro di Pangea sia in Italia che all’estero. Ci permettono, inoltre, di raggiungere le donne e le persone che sono accanto alle donne che vivono una situazione di violenza. E questa non è una cosa banale perché spesso quando si vive accanto a situazioni di violenza, si vuole aiutare le donne ad uscirne, ma spesso si esprimono involontariamente giudizi; mentre, la cosa giusta da fare sarebbe quella di empatizzare e non giudicare, mettendosi in contatto con Pangea per imparare ad usare le parole giuste e far capire a quella donna che sta vivendo una condizione di violenza.
Come Fondazione Pangea dialoga con le aziende? Restando sul tema digitale e violenza di genere, esistono collaborazioni che vale la pena citare? Per esempio la campagna mAI colpevoli?
In realtà il lavoro con le aziende è poco digitale perché, fortunatamente, ci incontriamo dal vivo ed è una cosa molto bella perchè è un segnale forte verso i propri dipendenti e verso l'azienda stessa. Nelle aziende facciamo formazione, sensibilizzazione per parlare di temi relativi alla violenza di genere: dalla decostruzione degli stereotipi fino a capire concretamente come possiamo aiutare una donna che vive una situazione di violenza. Successivamente a questi incontri, le aziende decidono di parlare e comunicare queste tematiche ai propri dipendenti attraverso l’utilizzo di strumenti digitali.
Un esempio è Sephora, un'azienda con cui abbiamo un rapporto strutturato da diversi anni e con cui cerchiamo di sviluppare più cose su diversi ambiti e uno di questi è stata proprio l’iniziativa del 25 novembre, a seguito della quale abbiamo deciso di interrogare l’Intelligenza Artificiale per capire se avesse lo stesso bias degli uomini, ovvero quello di colpevolizzare la donna per una violenza subita, ed è risultato che effettivamente questo bias è presente anche all’interno dell’Intelligenza Artificiale.
Pensando a Pangea nel futuro, quali sono i progetti che state portando avanti?
Pangea del futuro continuerà esattamente con questi progetti e, purtroppo, dovremo continuare a lavorare su questa tematica di violenza che durerà ancora tanto tempo; infatti, sentiamo che c'è sempre più bisogno di lavorare per accompagnare le donne fuori dalle violenze, specialmente nel sud Italia perchè sono presenti meno strutture antiviolenza rispetto al nord.
Ci piacerebbe continuare a lavorare con le aziende e le scuole perché al loro interno sono presenti genitori, donne e uomini che devono essere formati e devono essere i punti di riferimento per i propri figli, per cui è importante mantenere questo lavoro in modalità parallela.
Ovviamente continueremo anche il nostro lavoro in India e Afghanistan, lavoreremo con le donne e per le donne attraverso percorsi di formazione e diversi progetti rivolti a proteggere le donne.