Intervista a Loreta Minutilli, scrittrice e comunicatrice scientifica

Un percorso fuori dal consueto quello di Loreta Minutilli, esperta di storia della scienza e digitale.
La sua scrittura ha una missione: ripercorrere il passato per imparare ad affrontare le sfide del presente e cogliere le opportunità del nostro prossimo futuro. 

Partendo dal suo ultimo libro: "Le tessitrici, mitologia dell'informatica" abbiamo scoperto l'origine di questo saggio e come si ricollega con il suo impegno da educatrice STEM. 
Ogni giorno con un metodo informale e inclusivo prova a far riflettere ragazzi e ragazze sull'origine di stereotipi e pregiudizi. Insieme ci siamo poi interrogatə sul legame tra tecnologia e genere. 

Loreta, parlaci un po' di te. Astrofisica e specializzata in comunicazione della scienza. Raccontaci la tua formazione e come si coniuga con il tuo lavoro.

Il mio percorso formativo è stato un po’ insolito. Dopo il Liceo Classico mi sono iscritta alla facoltà di fisica.
È stata una decisione presa durante l’ultimo anno di scuola, prima di allora avevo sempre pensato che da grande avrei fatto la scrittrice. Probabilmente la scelta è stata presa grazie all’influenza positiva della mia professoressa di matematica, iniziai a pensare che forse anche il mondo scientifico poteva essere interessante. 
Ho continuato gli studi iscrivendomi al corso di astrofisica e durante gli anni universitari ho scritto anche il mio primo romanzo. Dopo la laurea magistrale mi sono resa conto che era arrivato il momento di decidere cosa volessi fare da grande e a quel punto sapevo che non volevo fare la ricercatrice. Non desideravo fare della scienza il centro della mia vita, ma continuavo a sognare un mestiere in cui dovessi scrivere tutto il giorno. Così mi sono avvicinata prima al mondo dell’insegnamento e poi a quello della comunicazione scientifica. Ho frequentato poi a Padova il Master in Comunicazione delle Scienze. Oggi mi occupo di educazione STEM per ragazzə e di comunicazione scientifica. 

Parliamo del tuo nuovo libro: “Le tessitrici, mitologia dell’informatica”, in cui metti in contrapposizione alcune fra le protagoniste della mitologia greca con donne scienziate. Perché l’informatica ha bisogno di una mitologia e perché il riferimento alle tessitrici?

L’idea nasce dalla mia grande passione per il mito emersa già nel mio primo libro: “Elena di Sparta”. Della mitologia mi ha sempre affascinato la sua capacità di raccontarsi trovando sempre qualcosa di nuovo da dire per ogni generazione ed epoca. La riscrittura del mito è un'azione che ha sempre fatto parte di me. Mentre leggevo “Zero, uno. Donne digitali e tecnocultura” di Sadle Plant ho pensato che il mito può essere connesso all'informatica.
È stata per me una lettura fondamentale in cui emerge il legame tra la tessitura e la programmazione. Si pensi al telaio: il primo oggetto automatizzato, in cui il meccanismo di funzionamento è molto simile a quello dei primi computer. L’arte della tessitura come l’informatica è stata sempre al femminile, le prime programmatrici furono quasi tutte donne anche se, con il tempo, c’è stato un cambio di tendenza.
Le loro storie, sommerse dagli stereotipi a cui siamo abituatə, hanno bisogno di essere raccontate.

Per ciascuna scienziata della storia hai associato una donna della mitologia greca. Da dove nascono quelle correlazioni e ad esempio Penelope e Grace Murray cos’hanno in comune?

Quella fra Grace Murray e Penelope è stata una delle primissime connessioni. Mi colpì un’intervista a Grace Murray in cui raccontava che la sua più grande innovazione informatica, il compilatore (programma che traduce una serie di istruzioni scritte in uno specifico linguaggio di programmazione in linguaggio macchina) era stata fatta perché stufa di fare e rifare sempre la stessa procedura. Ogni giorno si prendeva cura della macchina e puntualmente ogni mattina le impostazioni, organizzate da Grace la sera prima, erano diverse da come lei stessa le impostava; i suoi colleghi si divertivano a modificarle e quotidianamente Murray si ritrovava a dover fare tutto da capo. Penelope invece si salva grazie alla ripetizione. Non conosciamo i sentimenti che provava nel suo fare e disfare ma sappiamo che grazie a quelle azioni quotidiane riuscì a scrivere la sua storia. Questo parallelismo mi interessa molto: Murray dinamica, Penelope statica ma entrambe sono iconiche figure dell'intelligenza femminile

In un capitolo del tuo libro: “Le danaidi e le programmatrici dell’ENIAC” parti dal ricordare “Wartime opportunities for Women” un resoconto dettagliato delle nuove opportunità lavorative che si aprivano per le donne mentre gli uomini erano al fronte. A ben vedere è sembrata una buona opportunità ma in realtà la propaganda nascondeva un filo di misoginia. Ti va di raccontarcela?

Si tratta di un periodo molto interessante considerate le opportunità offerte a molte donne che per tutta la vita hanno continuato a lavorare in ambito scientifico.
Non dobbiamo farci abbagliare però da questa propaganda; all'interno dei volantini era presente una nota a piè di pagina in cui veniva specificato che l'occupazione era temporanea. Non bisognava quindi credere che le donne sarebbero state in grado di sostituire gli uomini. Potevano eseguire le stesse mansioni ma non altrettanto bene. In particolare cito una frase: "reclutare donne era come pensare di sostituire il metallo con la plastica".
Al ritorno dal fronte tutto doveva tornare com'era.
È quello che è successo con l'informatica, dopo aver compreso che la programmazione e l'ingegneria informatica potevano essere le scienze del futuro sono diventate "robe per uomini". 

Sempre restando sul capitolo dedicato alle scienziate dell’ENIAC, citi l’Effetto Matilda. Ci parleresti del fenomeno e perché Matilda?

L’ "effetto Matilda" è stato introdotto in sociologia e nella storia della scienza negli anni ‘90 dalla sociologa Margaret Rossiter in un periodo in cui veniva riscoperto il ruolo dimenticato delle donne nella storia della scienza. Rossiter per "effetto Matilda" intende quel fenomeno per cui nella storia, le scoperte scientifiche fatte dalle donne sono state attribuite a uomini con cui hanno lavorato oppure ai loro mariti; persone che letteralmente avevano rubato le loro invenzioni. Non si tratta sempre di un fenomeno intenzionale. Rossiter nel suo paper specifica come, molto spesso, questi uomini non si rendessero neanche conto del danno fatto alle loro colleghe. Ad esempio, uno dei casi più eclatanti è quello di Lise Meitner a cui è stato sottratto il premio Nobel per la chimica, diversamente vinto dal suo collega Otto Hahn per una scoperta che di fatto era sua. Hahn non rifiuta ovviamente il premio Nobel, nè cita nè ringrazia Meitner nel suo discorso. Rossiter decide di chiamare questo effetto Matilda, da Matilda Joslyn Gage, una scrittrice dell’Ottocento autrice di “Woman as an inventor”un saggio in cui sono raccolte storie di scoperte scientifiche non riconosciute e spesso attribuite a uomini a causa di pregiudizi della società e della scarsa indipendenza economica e libertà di cui le donne godevano. 

Fra le tante cose sei anche educatrice STEM. Su questo fronte come sei attiva e cosa vuol dire educare alle materie STEM?

Attualmente mi occupo di organizzare laboratori a tema scienza e tecnologia dedicati a bambini e bambine, ragazzi e ragazze, di diverse età dalle elementari alle superiori. 
Solitamente la metodologia che applichiamo è quella del learning by doing, un approccio in cui i ragazzə imparano facendo e toccando con mano oggetti e strumenti, attraverso esperimenti, sono costruiti prototipi vicini a temi sociali.
Si tratta di un approccio diverso da quello della didattica tradizionale, rientra nell’ambito dell’educazione informale e mira ad un coinvolgimento attivo e inclusivo di tutta la classe. 

Collaborando con giovani ragazzi e ragazze quali sono i bias principalmente emersi? Pensi ci siano delle differenze di genere nel loro approccio alla tecnologia e al digitale?

La curiosità verso la tecnologia e il digitale è presente in tutti i generi e in tutte le età, più gli studenti sono giovani più il coinvolgimento è maggiore. Lavorare con le elementari ci permette di notare come non ci sia un interesse diverso in base al genere, meno per le classi medie e superiori.  Le bambine hanno tanto entusiasmo quanto i bambini e sono altrettanto pronte a usare gli strumenti, a costruire e a fare. Quando però bisogna essere più intraprendenti, rischiando anche di sbagliare, ecco che questo mette in difficoltà le ragazze, l'errore - soprattutto per le giovani - è vittima dello stereotipo della "brava ragazza". Solitamente il genere femminile cerca di essere il più possibile perfetto evitando di uscire fuori dagli schemi. Sicuramente è molto importante rendere gli ambienti scolastici inclusivi, evitando i giudizi, liberə di fare e sbagliare. 

Come secondo te è necessario intervenire affinché vengano abbattuti i pregiudizi di genere nel digitale?

Sicuramente l’educazione è un canale fondamentale. Fare un’esperienza educativa nel digitale o nelle STEM può cambiare un po’ la vita di una ragazza, io ad esempio ne sono una testimonianza. Se non avessi avuto un’insegnante motivante non avrei mai intrapreso un percorso STEM. Credo però che le iniziative rivolte solo alle ragazze non funzionino molto, secondo il mio punto di vista è giusto coinvolgere tutta la classe creando ambienti di lavoro misti in cui ci sia la consapevolezza di dover dare a ciascuno il proprio spazio.
Durante le attività spingo molto i ragazzə a
lasciare spazio alle compagne più timide e rispettare delle semplici regole, per me è un modo per far riflettere su come le azioni hanno un impatto sugli altri e possono contribuire a creare un ambiente bello e in cui tutti stiamo bene.

Come la tecnologia e il digitale possono essere alleate sulle tematiche di parità di genere?

È un tema ampio. Leggendo “Zero, uno” sono rimasta folgorata da questo modo di schierare la tecnologia, che poi è anche una provocazione, una speranza per il futuro. La tecnologia non è neutra e porta con sé una parte di come e da chi vengono creati i processi.
Si ritorna al tema della rappresentazione, avere una grande quantità di donne che hanno un ruolo attivo può fare davvero la differenza, per esempio nell’addestramento delle intelligenze artificiali o più in generale nel mondo del tech/digitale, è un'opportunità per garantire che gli interessi di tutte le minoranze siano ascoltati e facciano parte del processo di evoluzione della tecnologia. Il digitale può essere uno strumento per raggiungere la parità di genere e andare avanti se seguito da donne in termini di vertici, di processi decisionali e legislativi. 

Citiamo parte del tuo epilogo: “quello tra il passato e il futuro rimane l’ultimo difficile confine da ammorbidire e sfumare, eppure sono convinta che sia indispensabile metterlo in discussione per tenere saldo e rivendicare, nel futuro fluido e incerto che si prepara, almeno un punto fermo: quel che abbiamo fatto, le storie che abbiamo inventato; le persone che abbiamo celebrato e quelle che sono rimaste nel mondo”. Tu Loreta come ammorbidiresti questo confine? Quali sono le prospettive a cui miri?

Il senso di questo brano? Credo che per costruire un futuro condiviso in cui la tecnologia abbia ruolo positivo e un ruolo di empowerment bisogna riscoprire il passato. Potremmo chiederci alla fine della storia a cosa ci servono questi racconti di scienziate e perché riportarle alla luce al di là della voglia di dargli un po' dei meriti sottratti. Le storie di scienza hanno un valore didattico e possono permetterci di imparare a conoscere meglio i processi futuri. Sapere cosa è successo può aiutarci ad avere degli strumenti giusti per comprendere cosa succederà in futuro. Il racconto ha un potere, possiamo scegliere qual è la storia che desideriamo vivere e decidiamo noi di portarla nel mondo reale. Questa è la prospettiva a cui miro e mi piacerebbe continuare a esplorare il legame fra le storie di scienza, didattica, futuro e sperimentazione. 

Digitale: femminile singolare

Parità di genere e digitale. Storie a confronto tra sfide e opportunità

Iscriviti alla newsletter per restare sempre aggiornatə