Flavia Brevi ci racconta come Fondazione Libellula lavora per prevenire la violenza di genere, puntando su educazione e consapevolezza. La Survey Teen 2024 rivela una scarsa capacità di riconoscere comportamenti violenti tra adolescenti, come il controllo nelle relazioni. L’intervista esplora i risultati della survey, le sfide del digitale e l’importanza di una cultura inclusiva per cambiare questi dati.
Qual è il tuo ruolo all'interno di Fondazione Libellula e di cosa si occupa la Fondazione?
Fondazione Libellula è l’impresa sociale impegnata nel contrasto della violenza di genere e di ogni genere di violenza attraverso la diffusione di una cultura equa e rispettosa. Cultura che passa anche attraverso il linguaggio che scegliamo di usare, per questo per me, che mi occupo della comunicazione, è importante non solo veicolare ciò che facciamo sui vari canali della Fondazione, ma anche farlo utilizzando un linguaggio inclusivo o, come preferiamo dire, ampio.
In che modo lavorate con le aziende per garantire che le politiche di Diversity, Equity & Inclusion abbiano un impatto concreto e misurabile sul benessere delle persone?
Crediamo che le organizzazioni abbiano una grande responsabilità, in quanto contenitori di umanità dove si diffonde cultura.
Un’azienda attenta al tema della violenza di genere e alla creazione di una cultura inclusiva assume un impegno nei confronti della collettività, dando coraggio a chi vive situazioni di vulnerabilità anche fuori dalle sue mura.
È su questo principio che abbiamo creato il Network Libellula, la prima rete di aziende impegnate nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere. Insieme a loro elaboriamo percorsi formativi di vari tipi, secondo le loro necessità: per contrastare stereotipi sul lavoro in modo da valorizzare il talento (anche per ruoli specifici, come il management, i e le recruiter); per supportare i genitori dell’azienda e la genitorialità condivisa; per sensibilizzare sulle varie forme in cui può esprimersi la violenza e diventare agenti di cambiamento partendo dai nostri privilegi; per esercitarci a usare un linguaggio rispettoso di tutte e tutti, con un effetto immediato nella vita di chi ci circonda; per creare ambienti di lavoro sicuri attraverso la stesura di policy antimolestie o l’implementazione di sportelli d’ascolto.
Al fine di realizzare il percorso più efficace, partiamo dai dati, sia quelli dell’azienda che quelli pubblicati da enti nazionali e internazionali. E ovviamente, anche dai dati che raccogliamo attraverso le nostre survey; proprio in questi giorni è aperto il questionario rivolto a tutte le persone in età lavorativa per misurare l’esperienza di varie forme di violenza dentro e fuori il lavoro. Per partecipare basta rispondere alla Survey Lavoro, Equità, Inclusione 2025.
Il mondo digitale può amplificare i problemi legati alla violenza di genere, agli stereotipi e alle discriminazioni. Quali sono le principali sfide che incontrate nel contrastare questi fenomeni nei canali online e nei progetti digitali?
Il digitale ha aiutato e aiuta a diffondere maggior consapevolezza sulle varie forme in cui la violenza può esprimersi; purtroppo, però, esistono forme di violenza nate proprio grazie al digitale.
La violenza digitale comprende lo cybestalking, quindi una serie di comportamenti molesti e ossessivi via social o mail che generano ansia, paura e insicurezza nella vittima; la condivisione non consensuale di materiale intimo, erroneamente chiamato “revenge porn”; il doxing, ovvero la condivisione non consensuale di informazioni private, come il numero di telefono di una persona; la sextortion, ovvero l’estorsione di materiale intimo (di solito mentendo sulla propria identità, sicuramente omettendo lo scopo delle richiesta) per poter poi ricattare la vittima, chiedendole soldi o altro materiale se vuole evitarne la diffusione.
Ci sono poi community misogine, come gli incel, che si ritrovano in gruppi o chat che veicolano messaggi violenti.
L’unico modo per contrastare queste forme di violenza non è, però, concepire il digitale come un nemico, ma come uno spazio dove fare ancora più consapevolezza.
Di recente sono stati pubblicati i risultati della survey “Senza confine.Le relazioni e la violenza tra adolescenti”. Perché senza confine e da dove nasce la ricerca?
“Senza confine” è l’ebook (scaricabile dal sito di Fondazione Libellula) che racchiude i risultati della nostra Survey Teen 2024, sulla percezione e l’esperienza della violenza di genere tra adolescenti dai 14 ai 19 anni.
Abbiamo scelto questo titolo perché ciò che è emerso è che non c’è piena consapevolezza, nelle nuove generazioni, sul confine che sancisce cosa è violenza e cosa no: per 1 adolescente su 5 toccare o baciare una persona senza il suo consenso non è violenza; così come il controllo non è percepito come tale, dato che più di 1 adolescente su 3 non considera violenza dire al o alla partner quali vestiti può indossare, per esempio.
Qual è stato il tasso di partecipazione?
Ci hanno risposto spontaneamente quasi 1600 adolescenti, un incremento importante rispetto al 2023, anno della prima edizione della Survey che aveva raccolto le testimonianze di 361 giovani. Questa partecipazione ci dimostra che non è vero che gli e le adolescenti non vogliono parlare; lo fanno se noi persone adilte sappiamo metterci davvero in ascolto.
Quali sono stati i principali risultati emersi rispetto alla violenza online?
Un terzo del campione non riconosce come violenza impedire al o alla partner di di accettare richieste di amicizia online o chiedere alla persona con cui si è in una relazione di geolocalizzarsi quando è fuori. Per circa il 40%, inoltre, non è violenza chiedere di condividere al o alla partner le password dei profili social o controllarne di nascosto il cellulare.
Una considerazione generale rispetto alla survey?
Ci teniamo che i risultati non siano letti come un giudizio sulle nuove generazioni, ma una domanda che dobbiamo rivolgere a noi persone adulte: "cosa possiamo fare per cambiare questi dati?"
Perché sono frutto di ciò che noi abbiamo trasmesso attraverso la nostra cultura, che ha romanticizzato la gelosia morbosa, il controllo sull’altro e l’annullamento dei propri confini personali nelle relazioni affettive. E quindi, senza puntare il dito su una singola parte (la famiglia / la scuola / la musica…), capire come ognuno di noi può fare la propria parte nel cambiamento culturale. Comprese le aziende.
Quali possono essere in ottica di genere le opportunità che può offrire il digitale? Qual è il posizionamento di Fondazione Libellula su questo fronte?
Il digitale ha il grande merito di aver dato un microfono a tutti quei gruppi sociali marginalizzati che non hanno mai potuto raccontare le proprie esperienze senza subire filtri da parte di chi detiene il potere della stampa, della TV e di canali di comunicazione più tradizionali.
Ascoltare questi gruppi ci permette di capire che privilegio possiamo avere in alcuni contesti e possiamo imparare a utilizzarlo per diventare persone alleate.